LA LUNGA PREMESSA
La nostra è una società evoluta e complessa come nessun’altra nella storia umana.
Nemmeno i Romani avevano facebook, i mercanti Persiani non potevano affidarsi ad amazon, e i Cinesi non si informavano su twitter.
Siamo sommersi da informazioni, e siamo evoluti da millenni di errori e tentativi stratificati.
Il cristianesimo (e tutte le altre religioni, in misura diversa) ci hanno insegnato la compassione come via per la realizzazione umana.
Se non comprendiamo i nostri simili veramente ci perdiamo tutte le sfaccettature della vita che non ci appartengono: è il senso dell’empatia.
Non possiamo imparare, se non sappiamo immaginare cosa hanno pensato i saggi prima di noi, non possiamo crescere, se non immaginiamo il dolore e la gioia degli altri esseri umani.
Dolori e gioie che mai vivremo nelle nostre grigie vite.
Eppure c’è una parte della società che non può permettersi questi sentimenti: i generali, che per vincere la guerra devono mandare a morire i loro sottoposti; i capitani d’azienda, o anche tutti i dirigenti, o i responsabili di reparto, che non potrebbero sfruttare il plusvalore dai propri dipendenti se ne capissero le esigenze; i medici, che non potrebbero operare lucidamente; i politici, che non potrebbero adottare misure impopolari (ma loro, in effetti, non lo fanno).
Certo, esistono le eccezioni, ma sono molto, molto rare – e il loro effetto deve limitarsi al dramma interiore dei pochi individui in grado di sostenere la tensione tra i doveri del proprio ruolo – o, più probabilmente, l’inclinazione personale – e l’esperienza dei sentimenti e delle emozioni delle controparti. I neuroni a specchio sono una zavorra per i politici più scafati, i bancari e i mercanti, i capibanda, e via via fino al bulletto della scuola o il vicino di casa con il SUV.
Magari siamo noi, quelli con il SUV che ‘si prendono’ la precedenza.
Il potere non ammette empatia per i deboli e per gli sconfitti. Non sono compatibili.
È nella necessità dei potenti essere degli stronzi, altrimenti l’umanità non progredirebbe – sì, è vero: gli stronzi, i ‘lupi’ in mezzo al gregge, sono funzionali all’evoluzione della specie: fanno fuori le ‘pecore’ troppo deboli per sopravvivere, ma che nessun predatore esterno potrebbe toccare al giorno d’oggi.
LA LUNGA CONCLUSIONE (in realtà, SCONCLUSIONE)
E quindi siamo arrivati a questo paradosso – o, almeno, ci sono arrivato io: la compassione per i potenti, che è una cosa da veri coglioni.
Il tizio con il SUV viola le regole della strada certo dell’impunità, ma non è giusto.
Il titolare d’azienda che fa mobbing e sfrutta i dipendenti non è giustificabile: fa i suoi interessi – e quelli di nessun altro. Cazzi suoi se i suoi piani non andranno come desidera: verranno datori di lavoro migliori, al suo posto.
Lo stesso vale per gli speculatori, i politici, ma nella nostra società complessa anche i maschi bianchi etero che si lamentano di essere ‘assediati’ dalle donne, dagli immigrati o dagli omosessuali sono cretini neanche troppo amabili – così come tutte le donne che pensano che un apprezzamento equivalga a uno stupro, o i senegalesi con l’accusa di razzismo troppo facile.
Ma torniamo al potere: i potenti oggi sembrano mescolati tra di noi, invisibili e onnipresenti. I vicini di casa, i giudici privilegiati, gli insegnanti sindacalizzati – e invece il potere risiede sempre di più nel denaro e non ce ne accorgiamo, non sappiamo più riconoscerlo.
Gli arroganti di quartiere possiamo combatterli, ma i gruppi finanziari, i grandi capitalisti, sono irraggiungibili – e proviamo compassione per loro, perché crediamo che loro provino compassione per noi, e contribuiscano al nostro benessere.
E questa è la balla più grande, contro cui ci siamo dimenticati il vaccino più efficace: il nostro interesse. Il nostro potere.
Io compassione per loro non ne ho neanche un briciolo. Anzi odio tutti e vorrei vederli tutti morti gonfi
Breve, sintetico e perfetto.
Io ci sto arrivando per gradi alla disintossicazione da compassione per i potenti, e scopro ogni giorno una nuova sfumatura di indignazione.
Sulle orme de “il bombarolo” di De Andrè – ma senza esplosivo. Mi faccio bastare le parole.
L’ha ripubblicato su l'eta' della innocenza.