Ohpporco il reparto marketing. Può aspettare, deve aspettare: prima l’ufficio paghe e quella richiesta di quel bonifico che rimanda da una settimana. Cecchi si è presa il pomeriggio per l’emicrania e ovviamente Ambrogi deve rispondere anche alle sue email. E tenere d’occhio il cellulare, che sua moglie gli ha già chiesto di prenotare le ferie e quel viscido dell’agenzia pretende pure la conferma all’offerta in quindici minuti. Paga uno stipendio per cinque giorni che già sa saranno peggio che al lavoro tra le valigie il volo con la connessione a Dubai – se potesse ci sgancerebbe una atomica in quell’aeroporto di merda con le galleriette strette e buie e quei cazzo di arabi che decapitano le mogli se mostrano i capelli – cinque giorni con il cronometro anche in spiaggia per stare dietro ai bambini che devono piasciare o si mettono a tirargli la sabbia addosso ogni volta che si permette di aprire un libro.
Controlla il PC di Luisa, di Cecchi, rispondi alle zecche del marketing e gira le richieste della produzione all’ufficio tecnico mentre bussa alla porta Bruni dei ricambi con un plico per lui. Sbircia il cellulare mentre lo ringrazia e prende il pacco recapitato dal corriere – quasi sicuramente le cuffie che Ambrogi ha acquistato online per il più grande, così può ascoltarsi la sua musica senza trapanare i timpani di tutto il quartiere. Bruni deve aver notato che la vena sul collo è sul punto di esplodergli e gli chiede se può dargli una mano con qualcosa – gli passa due pratiche che riguardano i ricambi e una spedizione in Bangladesh che proprio non riesce a venirne a capo con i costi per l’ufficio commerciale. Di Bruni può fidarsi come di Luisa, e in più ha quella qualità di mantenere sempre il sangue freddo; è sempre calmo, anche quando c’è tanto da fare – c’è sempre tanto da fare.
“Bruni, ma tu, come fai a essere sempre così imperturbabile?” gli viene fuori quasi di botto, mentre la suoneria del cellulare lo avvisa che il viscido dell’agenzia ha mandato l’offerta e deve confermargliela in quindici minuti o la perdono. Con un gesto di scusa a Bruni prende il cellulare e inizia a leggere per sommi capi che razza di salasso gli tocca pagare per neanche una settimana in resort mentre quell’altro senza scomporsi gli fa “dal cortile tra la produzione e gli uffici si vede uno scorcio di cielo che mi piace molto: quando faccio la spola qualche volta mi fermo qualche minuto a guardarlo”. Ambrogi preme il tasto “RIFIUTA” – con quella cifra ci compra un diamante grosso come una mela – e mette giù il cellulare in tempo per ricambiare al saluto di Bruni, che, girati i tacchi, se ne torna nel suo ufficio. Deve inoltrare l’email degli indiani all’ufficio tecnico, senno quelli della produzione vanno in stallo e Ambrogi deve imbottirli di prozac – figurativamente parlando – se vuole che mantengano un decoro umano e smettano di urlare come sirene a intervalli regolari per giorni, anche mentre pisciano. Scrive gli indirizzi email con una mano sola, mentre con l’altra si serve due pillole per la pressione. Manda l’email e ne manda un altro paio dal PC di Cecchi prima di alzare lo sguardo e intercettare fuori dalla finestra, nel cortile, Bruni, fermo come un ebete a guardare il cielo grigio ribollente di nuvole invernali.
Anche Ambrogi si ferma un attimo, ma Bruni non si muove. Forse è il caso di cronometrare quanto tempo perde, ma gli interessa di più capire se ha sbagliato la valutazione della persona: sembrava un collega serio, il lavoro l’ha sempre fatto – dopo otto secondi squilla il telefono e imprecando tra se e se si profonde in scuse con il cliente più tonto dell’anagrafica clienti – ma anche il più remunerativo: l’amministrazione non gli ha mai dato le informazioni per rispondere a una richiesta di ieri mattina e adesso deve fare l’equilibrista per evitare altre seccature di cui, sinceramente, non sente di avere bisogno.
Durante la telefonata deve ripercorrere con il cliente tutto lo scambio di email, ma sbircia ancora un paio di volte la figura impalata di Bruni, fermo lì, in cortile, con un faldone sotto il braccio. Quando riattacca, dopo cinque minuti trecento secondi netti di violenza immaginaria contro gli stronzi dell’amministrazione e quel cretino di cliente, guarda ancora fuori dalla finestra, ma il collega si è sbloccato e deve aver completato il tragitto. Eppure non sembrava un folgorato. Guarda la pila di pratiche e sospira mentre squilla il telefono poi deve trovare il modo di sentire l’agenzia viaggi farsi cambiare referente e prenotare un resort e sopravvivere a cinque giorni di cardiopalma e soprattutto ai quattro mesi di lavoro prima delle ferie. Sospira ancora e: “Pronto, qui Ambrogi, chi parla come posso aiutarla?”.
Coda o non coda
Mi sono accorto che spesso i capi, o comunque le figure che hanno autorità su di me, scambiano il mio modo di fare accomodante e bene educato con un segno di sottomissione, tipico di chi tiene la coda tra le gambe, quindi ora vorrei chiarire questo equivoco.
Non è la coda.
Il paradosso della compassione
LA LUNGA PREMESSA
La nostra è una società evoluta e complessa come nessun’altra nella storia umana.
Nemmeno i Romani avevano facebook, i mercanti Persiani non potevano affidarsi ad amazon, e i Cinesi non si informavano su twitter.
Siamo sommersi da informazioni, e siamo evoluti da millenni di errori e tentativi stratificati.
Il cristianesimo (e tutte le altre religioni, in misura diversa) ci hanno insegnato la compassione come via per la realizzazione umana.
Se non comprendiamo i nostri simili veramente ci perdiamo tutte le sfaccettature della vita che non ci appartengono: è il senso dell’empatia.
Non possiamo imparare, se non sappiamo immaginare cosa hanno pensato i saggi prima di noi, non possiamo crescere, se non immaginiamo il dolore e la gioia degli altri esseri umani.
Dolori e gioie che mai vivremo nelle nostre grigie vite.
Eppure c’è una parte della società che non può permettersi questi sentimenti: i generali, che per vincere la guerra devono mandare a morire i loro sottoposti; i capitani d’azienda, o anche tutti i dirigenti, o i responsabili di reparto, che non potrebbero sfruttare il plusvalore dai propri dipendenti se ne capissero le esigenze; i medici, che non potrebbero operare lucidamente; i politici, che non potrebbero adottare misure impopolari (ma loro, in effetti, non lo fanno).
Certo, esistono le eccezioni, ma sono molto, molto rare – e il loro effetto deve limitarsi al dramma interiore dei pochi individui in grado di sostenere la tensione tra i doveri del proprio ruolo – o, più probabilmente, l’inclinazione personale – e l’esperienza dei sentimenti e delle emozioni delle controparti. I neuroni a specchio sono una zavorra per i politici più scafati, i bancari e i mercanti, i capibanda, e via via fino al bulletto della scuola o il vicino di casa con il SUV.
Magari siamo noi, quelli con il SUV che ‘si prendono’ la precedenza.
Il potere non ammette empatia per i deboli e per gli sconfitti. Non sono compatibili.
È nella necessità dei potenti essere degli stronzi, altrimenti l’umanità non progredirebbe – sì, è vero: gli stronzi, i ‘lupi’ in mezzo al gregge, sono funzionali all’evoluzione della specie: fanno fuori le ‘pecore’ troppo deboli per sopravvivere, ma che nessun predatore esterno potrebbe toccare al giorno d’oggi.
LA LUNGA CONCLUSIONE (in realtà, SCONCLUSIONE)
E quindi siamo arrivati a questo paradosso – o, almeno, ci sono arrivato io: la compassione per i potenti, che è una cosa da veri coglioni.
Il tizio con il SUV viola le regole della strada certo dell’impunità, ma non è giusto.
Il titolare d’azienda che fa mobbing e sfrutta i dipendenti non è giustificabile: fa i suoi interessi – e quelli di nessun altro. Cazzi suoi se i suoi piani non andranno come desidera: verranno datori di lavoro migliori, al suo posto.
Lo stesso vale per gli speculatori, i politici, ma nella nostra società complessa anche i maschi bianchi etero che si lamentano di essere ‘assediati’ dalle donne, dagli immigrati o dagli omosessuali sono cretini neanche troppo amabili – così come tutte le donne che pensano che un apprezzamento equivalga a uno stupro, o i senegalesi con l’accusa di razzismo troppo facile.
Ma torniamo al potere: i potenti oggi sembrano mescolati tra di noi, invisibili e onnipresenti. I vicini di casa, i giudici privilegiati, gli insegnanti sindacalizzati – e invece il potere risiede sempre di più nel denaro e non ce ne accorgiamo, non sappiamo più riconoscerlo.
Gli arroganti di quartiere possiamo combatterli, ma i gruppi finanziari, i grandi capitalisti, sono irraggiungibili – e proviamo compassione per loro, perché crediamo che loro provino compassione per noi, e contribuiscano al nostro benessere.
E questa è la balla più grande, contro cui ci siamo dimenticati il vaccino più efficace: il nostro interesse. Il nostro potere.
io sono un onesto evasore — Cavolate in libertà
Citazione
Una cosa che ho notato riguardo a chi si lamenta, soprattutto su twitter, di pagare in nero la parrucchiera, storiella tirata fuori spesso riguardo all’onestà dei migranti confrontata con la disonestà degli italiani che si fanno pagare in nero ed evadono il fisco, è che molti sembrano ignorare che nel caso di pagamenti in nero […]
via io sono un onesto evasore — Cavolate in libertà
Di solito in questo blog ci sono un sacco di retorica e cavilli a difendere posizioni inaccettabili e indifendibili, ma questo articolo mi trova molto, molto d’accordo.
Oracoli e aruspicina
Dunque il metodo sarebbe guardare per aria, vedere uno stormo di piccioni, e dirsi “ah, oggi sarà una magnifica giornata: devo ricordarmi di cambiare casa e mandare affanculo le proposte di pace, così sarò felice”.
Dovrebbe funzionare anche con i fondi del the, o con le viscere dei buoi, o con gli ossicini lanciati per terra.
Verrebbe il sospetto che non sono i piccioni, o il numero di petali della margherita, o gli schemi astrologici, ad acquisire significato nella nostra vita, ma è un pensiero che si concretizza prendendo questi oggetti come spunti per la fantasia, no?
Fantasia che fa il grosso del lavoro: mescola le aspettative, le informazioni, anche apparentemente insignificanti, inconsce, sulla realtà, e le plasma, le rielabora in un modello che può definire, ma anche predire, se hai tanto culo, come andranno le cose.
Mettersi a fare giochetti così scemi con la propria vita è una coglionata bella e buona, come giocare ai tarocchi con una pistola puntata alla testa, come comporre la lista della spesa con una tavola ouija – eppure è un tipo di coraggio che rimette i tuoi pensieri in riga e li lega al tuo vissuto quotidiano.
Quello di cui ho bisogno adesso non sono gli stormi di piccioni, ma la fantasia di fare la stessa cosa che facevano gli aruspici e gli oracoli con quello che avevano sottomano: concentrarmi sulla mia vita al punto da non vedere niente altro.
Concentrarmi sulla mia vita al punto da vederla riflessa dappertutto.
La sinistra riparta da qui. — non si sevizia un paperino
Citazione
“At some turning point in history, some fuckface recognized That knowledge tends to democratize cultures and societies So the only thing to do was monopolize and confine it to” (Propagandhi – A People’s History Of The World) Ad ogni nuova tornata elettorale, la “sinistra” si chiede innanzitutto da dove ripartire. Ognuno vorrebbe ripartire da […]
via La sinistra riparta da qui. — non si sevizia un paperino
Le more di Brautigan
Ecco, è da anni che non scrivo seriamente, troppo assediato dalla deprivazione del sonno, dal mobbing lavorativo e dal secondo lavoro (ma a tempo pieno) di neopadre.
Certo, anche questo non è nulla di che, ma è una di quelle cose che vengono fuori senza una reale ragione, come se cadessero inaspettatamente nelle mani di chi aspetta, come se un pesce del mare dell’inconscio guizzasse spontaneamente sulla barca di Caronte.
Ecco, questa favola mi ha dato questa sensazione: sequestoeunpadreblog.wordpress.com/2019/03/24/il-campanile-illuminato-una-favola/
Fatemi sapere cosa ve ne pare.
L’inculazione da Pillon
Qui, in questo articolo, spiegato bene e con un tono pacato, c’è un pensiero utile su Pillon e la sua politica e le sue idee.
Se io avessi scritto su un tema simile, invece, probabilmente sareste stati interrotti nella lettura dai miei conati.
Sono mesi che mi riprometto di parlarne e alla fine non ci riesco mai. Non è questione di mancanza di tempo, di interesse o di volontà. È che questo argomento mi fa ribollire il sangue nelle vene e, invece, vorrei trattarlo con chiarezza, pacatezza e, soprattutto, contemporaneità. Non vorrei, in altri termini, ridurlo a uno striscione, uno slogan, le mani giunte a indicare il simbolo della figa, possibilmente accompagnate da un coretto da stadio (non me ne vogliano le veterofemministe ancora affezionate a questi metodi).
Partiamo da principio. Qualche giorno fa mi accorgo che un’amica condivide su Facebook un video pro-Pillon (o meglio, un mommy-vlog che parla dell’importanza del papà nella crescita dei bambini, strumentalizzato da una pagina a supporto della campagna del Senatoreleghista). Questa mia amica è una ragazza super in gamba, che ha la mia età e che – quando si è scoperta incinta…
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Il problema del PD. — non si sevizia un paperino
Citazione
Fa discutere, il discorso di Corallo all’assemblea del PD. Fa discutere, ovviamente e massimamente, per le cose a mio avviso sbagliate, come spesso succede a sinistra, evidenziando ancora una volta come, al momento, sia impossibile non solo per i partiti di area progressista, ma anche per i loro potenziali elettori, parlare senza attaccarsi, senza […]
Settebrutto
Parliamo dei testimoni di geova.
Ne parliamo? Parliamone!
https://www.internazionale.it/reportage/chiara-lalli/2018/10/22/testimoni-geova-biotestamento
Io qualche studio sulle sette, sulle loro strutture sociali, sulla comunicazione adottata e sugli effetti psicologici l’ho fatto (non chiedete che è meglio), e la descrizione delle dinamiche riportata nell’articolo è assolutamente coerente e plausibile.
A volte qualche seguace di qualche fede mi sta più simpatico di qualche altro fedele, e non nego che possano esserci anche testimoni di geova buoni e bravi (simpatici ne ho già conosciuti), ma questo articolo rinsalda la mia idea che sono proprio le fedi religiose, tutte, a essere delle enormi inculate – sempre a danno dei fedeli, e a volte anche di chi sta loro intorno.
Così, giusto per non perdere l’allenamento e la memoria del male.