Sfogo, forma, sostanza, e vuoto

Vedo una bella ragazza, per strada, in un porno, al bar, e vorrei scoparla. Ovvio.
Vorrei scoparle tutte, per la precisione, e, dandomi tempo e disponibilità, non è detto che non ce la farei: sono uno che si impegna nelle cose.
Ma non posso. Per una miriade di ragioni, ma non posso.

Vorrei fare solo quello che mi piace, tutto il tempo, cazzeggiare, avere successi nella vita senza sforzo, scopare, scrivere, scopare, ma non posso. Principalmente perché non ho più dieci anni, devo mantenermi, il lavoro, la ragazza, i genitori che richiedono attenzione (sto pensando di fare o affittare un figlio solo per subappaltargli il lavoro di ‘figlio’ presso i miei genitori, così da non doverlo fare io).
Fatto sta che non posso.

Chiamiamo ‘forma’ l’influenza esteriore di queste due constatazioni.

Vorrei dedicarmi alla scrittura e scrivere. Ho delle idee, racconti, storie. Lo faccio poco perché manca tempo, e il tempo rimanente lo spreco in cazzeggio per non affrontare il rischio di mettermi in gioco con la scrittura (oh se ci si mette in gioco a farla bene! Oh come ti costringe ad aprirti al mondo!). Perché credo di poter dire delle cose più o meno interessanti in un formato più o meno raffinato, perché c’è un sacco di merda in giro, e la mia è, immodestamente, meglio di tanta altra merda.
Ma qui ho avuto una feroce intuizione: e se invece non valessi davvero un cazzo nella scrittura?
Se lo scopo e il valore della mia vita non fosse scrivere qualcosa, ma solo galleggiare nella mediocrità? Senza nessuna identità degna di nota, senza nessun valore al di fuori di una accozzaglia di respiri e di lavoro impiegatizio per pagare la macchina per andare al lavoro?

Chiamiamo ‘sostanza’ questa intuizione sulla mia inutile interiorità.

Abbiamo un quadro chiaro e comune: non mi piace la mia vita, sogno di evadere, ho forti sospetti che la mia vita non valga nulla ai miei stessi occhi prima che agli occhi del resto del mondo

Evito accuratamente la prospettiva di suicidarmi (non che cambierebbe granché…) e ho preso in considerazione l’idea di drogarmi, ma mi sembra un palliativo senza costrutto. E poi già mi sfaccio di videogiochi.

Mi chiedo chi o cosa sono in in realtà, alla radice di queste minchiatine, e mi tornano in mente delle filosofie che temo siano state covate negli anni, nei miei pensieri di tanto tempo fa.
Avrei dovuto stare più attento a cosa desideravo.
Ora mi sembra che non ci sia una vera persona negli abissi della mia mente, nessuna identità con cui prendersela.
Dentro di me è cresciuta una foresta che, oserei dire, è una foresta di vuoto.
Stende i suoi rami su tutto quello che faccio, e devo impegnarmi forte perchè non trapeli al mondo, e gli altri non si accorgano che qui. non c’è. nessuno.

E questa parte della situazione la chiamiamo ‘vuoto’

 

PS: questo post è stato scritto – tipo – 8 anni fa, e poi lasciato a stagionare fino alla sua pubblicazione.
In questi anni però le cose sono cambiate: ho imparato a digitare l’accento corretto di “perché”, invece di usare la “è” accentata generica.

Vediamo chi cade prima (un promemoria)

Passeggiavo lungo il fiume
Fischiettando un brivido solitario
Pensavo a milioni di vite diverse.

Lei salì danzando su una montagna
Spargendo il suo candore come una fontana
E un indizio di turchese in frantumi negli occhi.

Si fece tutta la strada per dirmi che no
Non c’era una sola possibilità che io stessi come stavo

Dissi:
“il tuo detto è a doppio Taglio”.
Lei disse:
“Ehi, questa è una bella battuta, ma purtroppo non è
vera”

Lei disse:
“Stai solo cercando qualcuno che ti ami”.

Ora sappiamo tutti che il mondo sta morendo
E le spese si moltiplicano
Ma puoi provare a fartene anche tu una ragione.
Lascia che ti porti a fare un giro
Ti porterò a fare un giro
‘Ché col tempo
Sarai mia
Quando sarai mia
Andrà tutto bene yeah!

A quell’epoca non mi sentivo così bene.
A quell’epoca non mi sentivo così bene.
Non bramavo strane delizie
Non lampeggiavo nel buio della notte
Non andavo per umori aperiodici.

Non soffrivo di strane morti
Non avevo mai pensato che non fosse scomodo
Ma quando mi è toccato ho dovuto solo darci un Taglio

Non mi ha mai lasciato meravigliarmi o anche solo pensare
Solo agire agire d’istinto
Mi ha lasciato lì, ma non mi ha lasciato scelta.
Ora ho sentito storie su questo genere di cose
A casaccio ti trascinano dentro
E ti fanno fare cose che non avresti mai pensato di fare.

Una notte mi ha fatto disperare
Cosa sarebbe successo se qualcuno mi avesse scoperto?
Ancora oggi mi chiedo come l’abbiano saputo.

Cominciarono a spargere voci sul mio stato
Sapete come vanno le cose da queste parti,
Di tanto in tanto hanno solo bisogno di qualcuno da fare a pezzi.

I miei sensi sono offuscati ma posso sentirlo
Quattro, cinque anni mi sono stati strappati via.
Se me lo chiedete, non avrei modo di provarlo.

La puzza di isteria era chimica,
L’aria attorno a me spessa e fisica,
La mia mente girava ma io stesso non mi potevo muovere.
Sarei fuggito via, via, via, via, via, via, via, via…

Via, via, via, via, via…

Ora ho sentito storie su questo genere di cose,
Non perde, le basta lasciarti vincere
Con un po’ di fortuna puoi uscirne senza troppi lividi.

Una tale rabbia da non poterla sfogare
Così tanta energia da non poterla usare
Mi avrebbe fottuto di brutto se non ci avessi dato un Taglio.
Yeah.
Non soffrivo di strane morti
Non avevo mai pensato che non fosse scomodo

La prossima volta che mi toccherà sarò pronto, perché ora so.

Sarò pronto
Sarò pronto

Liberamente tradotto da “Let’s see who goes down first” dei dEUS.

In automobile tra le more

(da 102 racconti zen, di Richard Brautigan)

I rovi di more crescevano tutt’attorno e si inerpicavano come code di draghi verdi lungo le fiancate di vecchi magazzini abbandonati in una zona industriale che aveva visto tempi migliori. I rampicanti erano talmente fitti che la gente vi poggiava sopra delle assi a mo’ di ponte per raggiungere la parte più interna, dove stavano le more più buone.C’erano molti ponteggi che si protendevano verso i rampicanti. Alcuni di essi si componevano di cinque o sei assi e bisognava avere un grande equilibrio per percorrerli, perchè se si cadeva non c’erano altro che rovi di sotto, per una cinquantina di metri, e ci si poteva fare male davvero sulle spine.
Non era un posto in cui ci si andava per caso, a raccogliere qualche mora per farci una torta e per mangiarsela con latte e zucchero. Si andava lì a prendere le more da fare le marmellate per l’inverno, o da vendere, quando uno aveva bisogno di più soldi di quelli che servono per vedere un film al cinema. C’erano tante di quelle more laggiù che quasi non ci si credeva. Erano grosse come diamanti neri, ma per raccoglierle occorreva un’abilità tecnica degna di un invasore medioevale, bisognava recidere i punti d’accesso e gettarvi dei ponti, come se si volesse prendere d’assedio un castello.
– Il castello ha ceduto!
Certe volte, quando mi stancavo di raccogliere le more, mi mettevo a guardare nel buio fitto dei rovi degli scorci che parevano prigioni sotterranee. Si vedevano cose che non si sarebbero potute distinguere là dentro, e forme che cambiavano come fantasmi.
Una volta mi venne una tale curiosità che mi accovacciai sulla quinta asse di un ponte che avevo assemplato nel folto dei rovi e fissai lo sguardo nel profondo, dove le spine parevano aculei di una mazza ferrata finchè i miei occhi non si abituarono al buio, e riconobbi un’automobile giardinetta proprio sotto di me.
Restai lì accoccolato su quell’asse per un bel pezzo, con gli occhi fissi sull’auto finchè non mi accorsi di avere i crampi alle gambe. Per un paio d’ore circa arrancai tra i rovi, con i vestiti laceri e pieno di graffi sanguinanti, prima di poter raggiungere il sedile anteriore della macchina e poggiare le mani sul volante, un piede sull’acceleratore, l’altro sul freno, circondato da quell’odore di tappezzeria medioevale, e con lo sguardo che, attraverso il parabrezza, passava dall’oscurità del crepuscolo alle ombre verdi e soleggiate.
Arrivarono altri raccoglitori di more e cominciarono a raccogliere more sui ponti sovrastanti. Erano molto eccitati. Credo fosse la prima volta che mettessero piede in quel posto e che vedessero more come quelle.
Rimasi lì seduto nell’auto là sotto e ascoltai le loro parole.
– Ehi, guarda che more!

Meditazione del Parcheggio Incustodito (o del Supermercato)

Occorrono nervi saldi e tensione per questa meditazione.
Trovatevi in un ipermercato o in un parcheggio incustodito piuttosto grande – prendetevi ALMENO mezz’ora di tempo, meglio se un’ora abbondante.

Variante del Supermercato Straniante.
avete gironzolato per il supermercato facendo la spesa, lista alla mano oppure a colpo sicuro tra i vari reparti.
quando avrete messo nel carrello tutto l’occorrente continuate semplicemente a muoversi con lo stesso ritmo e la stessa intenzione, fermatevi ad intervalli regolari davanti ad uno scaffale che avevate preventivamente puntato con lo sguardo, prendete un bene di consumo a caso e fingete di esaminarlo accuratamente, leggete la lista degli ingredienti, le controindicazioni. Riponetelo senza farvi notare, oppure scuotendo leggermente la testa con una espressione di disapprovazione.
Ripetete quanto basta fino ad esaurimento dell’esercizio.

Variante del Parcheggio Incustodito.
da svolgersi preferibilmente senza bagagli, né borse della spesa.
andate normalmente verso la vostra macchina, poi, una volta arrivati, senza dare nell’occhio puntate un’altra macchina in un altro settore.
potete dirigervi con passo sicuro e determinato. L’importante è dare l’impressione di avere una direzione ed uno scopo; qualcosa da fare e di sapere che cos’è.
puntate macchine a casaccio che non siano l’evidente obiettivo di altre persone o gruppi.
Ripetete quanto basta fino ad esaurimento dell’esercizio.

in entrambe le varianti il senso della meditazione sta nel vagare senza meta reale tra la gente nascondendosi dietro l’impressione di fittizia di uno scopo.
vi permette una maggiore intimità il sapere che nessuno si interesserà a voi?
Nel caso di un esercizio ben riuscito potrete riflettere su qualunque problema vi impegni nella quotidianità. Osservare i pensieri che emergono, e risalire alla sensazione che vi provocano sarà la migliore ricompensa della meditazione in atto, proprio come per ogni esercizio di meditazione.

Avete avvertito il bisogno di rallentare il ritmo, la tensione o l’intenzione della camminata o dello sguardo?
Regolatevi su voi stessi e sulle persone che vi stanno accanto e che stanno sbrigando le proprie faccende per quanto riguarda le suddette modalità. Ricordate che potete variare la velocità dalla corsa all’immobilità protratta, comprendendo una camminata al rallentatore, una camminata veloce e una rilassata e normale.
Quando cominciate a sentire che potreste attirare attenzione con un comportamento non usuale?
il vostro umore, la concentrazione e la vostra leggerezza, in una parola il vostro spirito, influisce in qualsiasi modo su questo confine della norma sociale?
Potete immaginare cosa accadrebbe se rompeste tale membrana invisibile? Rifletteteci, la cosa vi spaventa? perché?
la affrontereste senza problemi? come se stessero violando un vostro diritto? perché?
In alcuni casi camminare perfettamente senza meta, lentamente e con la mente svagata non viola in alcun modo le barriere della norma sociale; il vostro esercizio si è risolto in questo modo?

Oppure avete cominciato ad attirare effettivamente degli sguardi su di voi? il vostro spirito in questo caso era grave o lieve? a quale gradazione di questa variabile il vostro comportamento è risultato strano ai passanti?
Qualcuno vi ha rivolto espressamente la parola? questo vi ha infastiditi?

lo scopo di questo esercizio è quindi duplice: trascorrere del tempo in meditazione come fareste normalmente mantenendo la posizione del criceto supremo nell’ashram indiano di Khalawashtarhi sotto casa vostra e, contemporaneamente, di esplorare i limiti della norma sociale in maniera innocua e sottile.
Nel caso guardie della sicurezza, poliziotti, ufficiali delle forze dell’ordine o squadre d’assalto militari dovessero arrivare al punto di intimarvi di fornire spiegazioni è comunque consigliabile affermare di essere attori impegnati in esercizi di movimento e collaborare pienamente.
Noi non ci assumeremo alcuna responsabilità

Taglio

Meditazione delle Tensioni Fisiche (Variante del Ruminante Bipede)

Questa meditazione viene suggerita perché ho scoperto, con colpevole ritardo, che non è il normale sentire di tutti.
Se invece tra i quattordici e i ventisei anni non avete immaginato nessun altro modo di percepire il mondo, scrivetemi, perché nonostante le prove del contrario al momento non siamo in molti, e credo varrebbe la pena conoscersi e condividere queste esperienze per trarne qualcosa di utile, tipo fondare un partito politico, o una religione. Qualcosa del genere.

La tensione fisica:
Trovate un ambiente protetto, ovvero al riparo da stronzi di qualunque natura o situazioni di pericolo.
Se siete paranoici, ma non claustrofobici, è preferibile iniziare dalla vostra camera blindata, con una scorta di ossigeno, viveri e uno scarico per i rifiuti.
È necessario un qualche genere di stimolo al di fuori dei vostri pensieri più solipsistici, per cui le camere a deprivazione sensoriale sono sconsigliate, a meno che non siate degli esperti.

Ora rilassatevi ed espandete i vostri sensi fino a comprendere l’ambiente circostante.
Proiettate pure le vostre impressioni e le vostre ansie sull’ambiente, in modo da definire i vari soggetti a seconda della vostra fantasia.
Ad esempio, su una strada alberata potrete percepire la forza segreta delle radici che spacca l’asfalto e, per contrasto, la necessità della strada di portare la civiltà.
Ora traducete ogni istanza di ogni soggetto in una sensazione fisica corrispondente.
La forza vitale degli alberi assumerà la sensazione di una tensione sottile e pervasiva in tutto il vostro corpo. Lo stesso farà la sensazione dell’asfalto rovente sotto al sole, incrinato dalle radici.
Lasciate che le diverse tensioni interagiscano tra di loro nel vostro corpo finché non saranno naturalmente riassorbite, lasciandovi rilassati e vuoti.

Ovviamente ogni qualità percepita nel mondo circostante sarà soltanto una vostra proiezione, quindi non agite sulla base delle vostre schizofrenie. Dovete solo fare finta che la natura voglia riprendersi le città.

In questa tecnica potrebbero esserci tracce di animismo. Ricordatevi che gli esseri umani restano comunque la principale specie intelligente del pianeta: non parlate con gli alberi in pubblico.
Non cercate per nessuna ragione di accoppiarvi con le centrali idroelettriche o con i centri commerciali.

Quando avrete preso dimestichezza con i principi di base aggiungete progressivamente elementi e provate a dare individualità a ogni sensazione separata di ambienti più complessi.
Una strada cittadina immersa nel traffico.
Il vostro quartiere.
Lo spirito collettivo generato dall’unione di tutti i singoli avventori di uno spettacolo teatrale. Non scordatevi gli attori e il personale di scena.
Voi stessi e il vostro interlocutore impegnati in una conversazione che vi coinvolge personalmente.
Voi stessi e i vostri singoli pensieri, esaminati e compresi alla luce della vostra consapevolezza e delle vostre sensazioni in ogni istante: diverse tensioni e distensioni in costante mutamento e in interazione dinamica reciproca.
Arrivati a questo punto dovreste aver ottenuto una buona dimestichezza con questa tecnica.

Oltre una certa soglia potrebbe essere complicato tenere traccia di tutti gli attori coinvolti, quindi non eseguite per nessuna ragione questo esercizio durante prove sociali o in ambienti che non siano protetti: solo gli stupidi si baloccano con le proprie rappresentazioni cinestesiche della realtà invece di agire.
Se sta accadendo qualcosa su cui proiettate delle ansie e delle tensioni troppo gravi per poterle sciogliere rapidamente, vi suggerisco di abbandonare temporaneamente la meditazione.
È importante che chi segue dichiaratamente i miei consigli non sembri pubblicamente uno sciroccato in ritardo di mezz’ora sullo svolgimento della rappresentazione sociale.

A questo punto interviene la Variante del Ruminante Bipede:

A fine giornata, magari nella tranquillità protetta del vostro letto solitario potete riprendere la memoria della tensione che vi ha colpito e sentire all’interno del vostro corpo tutte le sensazioni che non avete potuto digerire sul momento.
Dovete essere molto precisi, e ricostruire nella vostra immaginazione tutti gli elementi, rimodulando la vostra tensione corporea esattamente nella stessa forma che non siete riusciti a dissolvere durante la giornata.

Questo metodo si presta molto bene anche per ripassare gli eventi della giornata e risolvere tutti i nodi emotivi che formano inevitabilmente nel vissuto quotidiano.

A proposito di nodi emotivi: vi ricordo che questa meditazione serve a coltivare piacevolmente gli stati di coscienza più sottili, così come la sensibilità del vostro corpo e della immedesimazione empatica con gli altri (gli alberi non contano!).
Smettete senza indugio alle prime avvisaglie di disagio non giustificato, o di sensazioni sgradevoli che tanto non vi servirà a nulla rivivere.

Ad esempio dovreste sapere che se affrontate la quotidianità da questo spazio di meditazione, prima o poi vi accadrà qualcosa che al vostro ruminare serale sarà indigesto, e finirete seriamente nella merda.

Soprattutto, se vi invaghite di una stronzetta di psicologia con un bel nasino e un fisico da sballo, non state mai, MAI a ruminare su quelle sue cazzate recriminatorie che vi hanno ferito inutilmente.
Imparate prima a riconoscere tra le fighette di psicologia quali sono quelle più idiote e con la sensibilità di un laterizio (e per dare una dimostrazione pratica, ora, Paola, datti cortesemente fuoco per autocombustione).

Grazie a tutti per l’attenzione, e buon purgatorio.

AndreaTaglio

Non credete a voi stessi

Per prima cosa non credete a voi stessi.
“Oh, che tristezza” “che figata!” “mi sono innamorato”, “gli spaccherei la faccia”, “questa è la realizzazione di tutti i miei desideri: finalmente conosco la vera felicità”.
Arriva un momento durante un’emozione in cui il cervello si accorge di quello che sta succedendo, ci mette sopra un timbro e certifica a tutti i pubblici interni che sta succedendo qualcosa.
E voi sollevate un bel sopracciglio, e non gli credete.
Le emozioni sono momenti di distrazione dell’anima. Vengono e se ne vanno prima di poterci mettere il dito sopra.
E poi… felice di che? Arrabbiato per cosa? Non c’è nulla che possa scuotere il nostro essere più profondo: è eterno e immutabile, figurarsi se si trasforma per una emozione o una passione, che è per definizione momentanea.
State intensamente in quell’innamoramento: vi do dieci minuti, solo perché sono un insicuro cronico, e magari qualcuno là fuori può essere davvero duro di legno.
In meno di 1 minuto qualcosa avrà invaso i vostri pensieri. Qualcosa che non c’entra una dannatissima sega con l’emozione che stavate provando.
Vi concedo l’eccezione del dolore, se vi siete fratturati qualcosa o avete le coliche renali o un parto in atto.
Altrimenti è già finita, e allora la verità è che non avete provato nulla, non siete cambiati, siete sempre gli stessi.
Non credete a voi stessi.
E quando vi pare di avere raggiunto una nuova idea, una nuova concezione del mondo, che vi cambierebbe perchè cambierebbe il corso delle vostre azioni, fate lo stesso.
Non credete alle vostre cazzate.
Restate come siete.

Sensibilità romantica

Chiudo gli occhi, perché l’oscurità mi sommerga di silenzio.
Quando le tenebre sono assolute posso iniziare a sentire me stesso, da lontano, come se fossi un’altra persona.
Lascio emergere sensazioni più sottili, intuizioni che la luce distruggerebbe.
Alcuni vantano l’intensità di certe sensazioni, ma io lavoro a togliere. Le vibrazioni più remote mi scuotono come terremoti, da ogni direzione. È troppo facile essere desensibilizzati dalla sovrastimolazione. Non mi serve.
Quello che mi serve è il tempo e la pace. Per farla diventare guerra interiore.

Resto concentrato sulla sottile linea d’argento che mi lega ancora al mio corpo, che mi impedisce di abbandonarmi del tutto all’oscurità.
Oscurità sempre più densa, sempre più reale, e fonda, e urlante, e fisica.
Penso che se perdessi quella traccia lontana forse più nulla potrebbe riportarmi indietro, e sarei perso per sempre. Considero ogni volta se varrebbe la pena lasciarmi andare del tutto, ma ogni volta il coma profondo non arriva.
Ogni volta ritorno. Con il fiato un po’ corto, con una disperazione nuova, uguale alla precedente.

A questo punto mi do una ripulita e provo ad andare avanti con la mia giornata.
La meditazione non vale una sega, cosa credevate?

Meditazione della Realtà Inattesa

Questa meditazione ha numerosi precedenti illustri, e un imponente bagaglio storico.
Questo non significa che sarà più difficile.

Interrogatevi lungamente su uno dei due quesiti descritti storicamente come ‘koan’; chiedetevi “che rumore fa una mano sola che applaude?” oppure “che rumore fa un albero che cade nella foresta, se nessuno lo ascolta?”.
È importante rispettare la forma esatta delle domande. Esse sono già state formulate in maniera abbastanza intelligente per indicare una luna che non riuscirete a vedere, non rendetevi le cose più difficili guardando un dito diverso, che indica altrove.

Se trovate una risposta alla domanda accantonatela, dimenticatevene, e ricominciate da capo.
Se incapperete invece in una risposta perfettamente sensata dal punto di vista acustico o fisico allora avete sbagliato proprio tutto: cominciate a considerare un lungo eremitaggio verso un monastero lontano.

Per tutti gli altri invece il problema è complesso, ma esplorarlo in profondità non è l’approccio corretto.
Piuttosto dovete ricordarvi della domanda prescelta sullo sfondo di qualunque attività vi impegni durante la giornata.
Mentre nuotate in piscina, tra una pratica e l’altra in ufficio, mentre discutete di questo libro con il partner, davanti a una birra con gli amici, mentre guardate un film, durante il sesso, mentre guidate o mentre vi impegnate in una discussione di teologia buddhista con il vostro Maestro. O con il vostro barista.

Potete anche chiedere ad altri il loro parere su questi koan, ma quando avrete trovato la soluzione capirete presto quanto fiato avrete sprecato.
Semplicemente queste domande devono diventare il filo ininterrotto che unisce i momenti della vostra vita.

Vi annoiate? Dopo quanto tempo queste domande sono diventate per voi dei rituali vuoti?
Hanno già perso ogni significato le parole che li compongono?
Dopo quanto tempo vi siete dimenticati dell’impegno preso con questo esercizio?

Non preoccupatevi: per nulla al mondo vi ruberei l’istante perfetto in cui capirete da soli che la domanda è una chiave, non una porta.
Non smettete di cercare.

Con un po’ di fortuna e qualche anno di sedimentazione vi raggiungerà il satori.

Vi ha deluso il risultato? Vi aspettavate un’estasi superiore? O è stata abbondante e soddisfacente?
Riuscirete a farvene una ragione, ora che ci siete arrivati?
Pensate sia possibile mantenere questo stesso punto di vista anche in tutte le altre situazioni?
Come pensate potreste interagire con altre persone che hanno avuto la stessa rivelazione?
Hanno senso per voi queste domande?

Rispondetevi pure con calma.
L’esercizio è finito.

Meditazioni da Taglio

vi è mai capitato? provateci:
mettetevi nell’ordine di idee di non attirare troppo l’attenzione. proprio una giornata in cui la vostra attenzione non è concentrata su voi stessi (sguardo fisso avanti, presenza 10/10, per le ragazze ancheggio selvaggio tacco 12, per gli ometti camminata alla terminator) nè troppo sul mondo esterno (ma se si deve scegliere meglio questa seconda ipotesi)(spalla china e un po’ gobba, sguardo topesco e guizzante su ogni oggetto e persona che incrociate. mai rivolto avanti. piuttosto in basso). normale. se siete belli abbruttitevi. se siete particolarmente brutti non fateci caso. camminate piano, se incontrate qualcuno che conoscete guardatelo distrattamente e non attirate la sua attenzione. fatelo procedere come se non vi conoscesse. come se voi non esisteste. ci vuole molto allenamento e un po’ di fortuna. serve anche un conoscente, meglio se poco intimo. incontratene almeno 2 (meglio se 5 o 6) che tirino dritto.
indispensabile non fermarsi a parlare con nessuno. se proprio vi riconoscono devono avere altro da fare. un lieve cenno del capo deve bastare.
se avete svolto correttamente l’esercizio dovreste percepire distintamente una membrana tra voi ed il resto della società, come una barriera dimensionale gommosa.
oppure potreste essere presi dall'”estasi dell’uomo invisibile”. nessuno può vedervi, nè riconoscervi.
attenti! potreste avere dubbi sulla vostra stessa esistenza.
proseguite così, camminando, fino a casa vostra o fino all’esaurimento naturale dell’effetto.
come vi siete sentiti? che effetto vi ha fatto? avete provato disagio o tranquillità?
rifatelo se vi è piaciuto e la prossima volta cercate altri come voi.
magari ci incontriamo lì

oppure fate la meditazione dello specchio.
dai, provate a farlo anche voi.
non vi ci vuole tanto, basta uno specchio e 10 minuti della vostra vita. 10 minuti sono per sempre…
siete felici oggi? siete contenti?, soddisfatti? non importa.
mettetevi davanti allo specchio dopo esservi lavati la faccia e provate a sorridere. muovete i singoli muscoli della faccia, allargate e distendete le labbra. vi accorgerete che manca ancora qualcosa. gli occhi. devono ridere anche gli occhi. fissateli intensamente, e provate a sorridere anche con gli occhi, se ci riuscite. se non ci siete riusciti, va bene, andiamo avanti.
se ci siete riusciti, aspettate.
continuate a guardarli mentre sorridete.
piano piano, dopo un po’, il sorriso abbandonerà i vostri occhi, già mentre ricambiano il vostro sguardo; i muscoli della faccia tirano leggermente, come se fossero a disagio e non sapessero più qual’è il loro posto. poi il sorriso aperto su una bocca scintillante ritorna quello che è: un ringhio. un ghigno di denti snudati oscenamente. gli occhi perdono tutta la loro vita e restano vuoti.
vuoti.
è importante.
guardateli quegli occhi.
guardate quel volto in cui il sorriso si è sgretolato un pezzo per volta.
avete tutto il tempo del mondo per fissarlo. sentite l’effetto che vi fa vedere un volto che non sembra più capace di sorridere.
non distendete ancora le labbra. lo faranno da sole.
date attenzione alle sensazioni che vi fa provare il guardarlo ed ai pensieri (o all’assenza di pensieri) che emergono.
che effetto vi fa sapere che quel volto è il vostro?
adesso ormai ogni traccia di quell’aborto di sorriso dovrebbe essere svanito. riuscite a vederlo ancora?
pensate a cosa esprime quel volto serio che vedete nello specchio.
se lo fissate nel modo giusto vi sembrerà un’altra persona e al tempo stesso saprete che è il vostro.
sei ancora con me, ci sei? sei riuscito a resistere fin qui?
si?

allora benvenuto/a nella mia mattina