Vedo una bella ragazza, per strada, in un porno, al bar, e vorrei scoparla. Ovvio.
Vorrei scoparle tutte, per la precisione, e, dandomi tempo e disponibilità, non è detto che non ce la farei: sono uno che si impegna nelle cose.
Ma non posso. Per una miriade di ragioni, ma non posso.
Vorrei fare solo quello che mi piace, tutto il tempo, cazzeggiare, avere successi nella vita senza sforzo, scopare, scrivere, scopare, ma non posso. Principalmente perché non ho più dieci anni, devo mantenermi, il lavoro, la ragazza, i genitori che richiedono attenzione (sto pensando di fare o affittare un figlio solo per subappaltargli il lavoro di ‘figlio’ presso i miei genitori, così da non doverlo fare io).
Fatto sta che non posso.
Chiamiamo ‘forma’ l’influenza esteriore di queste due constatazioni.
Vorrei dedicarmi alla scrittura e scrivere. Ho delle idee, racconti, storie. Lo faccio poco perché manca tempo, e il tempo rimanente lo spreco in cazzeggio per non affrontare il rischio di mettermi in gioco con la scrittura (oh se ci si mette in gioco a farla bene! Oh come ti costringe ad aprirti al mondo!). Perché credo di poter dire delle cose più o meno interessanti in un formato più o meno raffinato, perché c’è un sacco di merda in giro, e la mia è, immodestamente, meglio di tanta altra merda.
Ma qui ho avuto una feroce intuizione: e se invece non valessi davvero un cazzo nella scrittura?
Se lo scopo e il valore della mia vita non fosse scrivere qualcosa, ma solo galleggiare nella mediocrità? Senza nessuna identità degna di nota, senza nessun valore al di fuori di una accozzaglia di respiri e di lavoro impiegatizio per pagare la macchina per andare al lavoro?
Chiamiamo ‘sostanza’ questa intuizione sulla mia inutile interiorità.
Abbiamo un quadro chiaro e comune: non mi piace la mia vita, sogno di evadere, ho forti sospetti che la mia vita non valga nulla ai miei stessi occhi prima che agli occhi del resto del mondo
Evito accuratamente la prospettiva di suicidarmi (non che cambierebbe granché…) e ho preso in considerazione l’idea di drogarmi, ma mi sembra un palliativo senza costrutto. E poi già mi sfaccio di videogiochi.
Mi chiedo chi o cosa sono in in realtà, alla radice di queste minchiatine, e mi tornano in mente delle filosofie che temo siano state covate negli anni, nei miei pensieri di tanto tempo fa.
Avrei dovuto stare più attento a cosa desideravo.
Ora mi sembra che non ci sia una vera persona negli abissi della mia mente, nessuna identità con cui prendersela.
Dentro di me è cresciuta una foresta che, oserei dire, è una foresta di vuoto.
Stende i suoi rami su tutto quello che faccio, e devo impegnarmi forte perchè non trapeli al mondo, e gli altri non si accorgano che qui. non c’è. nessuno.
E questa parte della situazione la chiamiamo ‘vuoto’
PS: questo post è stato scritto – tipo – 8 anni fa, e poi lasciato a stagionare fino alla sua pubblicazione.
In questi anni però le cose sono cambiate: ho imparato a digitare l’accento corretto di “perché”, invece di usare la “è” accentata generica.