Le passanti

Oh, quanto ti ho amata.
Anzi, quanto ci siamo amati.
Facevamo l’amore in continuazione, questo lo ricordo.

Non potrò mai scordare i tuoi occhi limpidi contro lo sfondo cupo del cielo, o i tuoi seni premuti stretti contro il mio petto.
Non ci lasceremo mai andare via, dicevamo, ma il tempo è passato, e anche la nostra relazione.

Ho dimenticato il tuo nome, confuso tra mille altri, perso nel rumore della folla delle otto, su un binario ferroviario, ad aspettare un treno su cui non eri mai salita.
Però ricordo le tue labbra dolci, i tuoi sorrisi sinceri, le tue mani mentre carezzano la mia guancia.
Forse una volta mi hai dato uno schiaffo. Forse una volta la tua silhouette nuda si è stagliata contro il rosso del tramonto, sulla spiaggia.

Non riconoscerei il tuo profumo, ora che i miei sensi non osano avventurarsi nella memoria; eppure un giorno quel tuo profumo mi ha travolto mentre io ero dentro di te, cancellando tutto il resto e lasciando solo quell’istante.
O forse quello era il profumo della ragazza con cui sono stato prima di mettermi con te?
Non mi ricordo.

Di sicuro non ho mai più amato nessun’altra come ho amato te, non ne sono più stato capace, eppure ora che ci penso il tuo sguardo lo ricordavo diverso.
Avevi altre labbra? Scherzavi con dolcezza o ridendo forte? Ci siamo mai tenuti per mano?

Non potrò mai più ricordarti.
Non saprò mai più chi eri o chi sei stata. Oggi, se ti incontrassi nella folla, non riconoscerei il tuo viso.

Hai portato via la parte di me che sapeva amare, e non ricordo nemmeno il tuo nome.

Sensibilità romantica

Chiudo gli occhi, perché l’oscurità mi sommerga di silenzio.
Quando le tenebre sono assolute posso iniziare a sentire me stesso, da lontano, come se fossi un’altra persona.
Lascio emergere sensazioni più sottili, intuizioni che la luce distruggerebbe.
Alcuni vantano l’intensità di certe sensazioni, ma io lavoro a togliere. Le vibrazioni più remote mi scuotono come terremoti, da ogni direzione. È troppo facile essere desensibilizzati dalla sovrastimolazione. Non mi serve.
Quello che mi serve è il tempo e la pace. Per farla diventare guerra interiore.

Resto concentrato sulla sottile linea d’argento che mi lega ancora al mio corpo, che mi impedisce di abbandonarmi del tutto all’oscurità.
Oscurità sempre più densa, sempre più reale, e fonda, e urlante, e fisica.
Penso che se perdessi quella traccia lontana forse più nulla potrebbe riportarmi indietro, e sarei perso per sempre. Considero ogni volta se varrebbe la pena lasciarmi andare del tutto, ma ogni volta il coma profondo non arriva.
Ogni volta ritorno. Con il fiato un po’ corto, con una disperazione nuova, uguale alla precedente.

A questo punto mi do una ripulita e provo ad andare avanti con la mia giornata.
La meditazione non vale una sega, cosa credevate?