Le faccine, la sociolinguistica, i grammar-nazi e i cagacazzi

Riassunto velocissimo.

La lingua e i mezzi di comunicazione si evolvono, che vi piaccia o no.

Forse vi piaceva il latino, ma è morto, e non tornerà in vita tanto presto, per quanto voi possiate studiarvelo e promuoverne l’uso.
Nuove parole nascono e nuove lingue si evolvono per adeguarsi ai tempi e alle generazioni. Questo non è né un bene né un male, è così e basta.

Questa è uno degli assunti della sociolinguistica, da cui è derivato l’ultimo orientamento dell’Accademia della Crusca (se volete un riferimento di autorità in materia…): quello di limitarsi a descrivere la lingua, senza cercare di controllarla con dogmi normativi.

La lingua, sia parlata che scritta, se viva e usata da una comunità, difficilmente rispetta i dettami imposti dall’alto, quanto piuttosto delle regole che la portano all’efficienza, alla semplificazione e all’esplorazione di nuove soluzioni.

Certo, il rispetto della grammatica e delle regole esistenti, prima fra tutte quella della comprensibilità dei contenuti, è importantissimo.
Il grammar-nazi sbaglia a concentrarsi sull’apostrofo tra “qual” e “è”, o sugli errori che sono chiaramente di battitura, ma ha ragione a sostenere l’uso del congiuntivo, ad esempio, e a bacchettare (possibilmente con educazione e buon senso, inversamente proporzionati rispetto alla gravità del problema) chi unisce all’incuria della lingua la confusione del pensiero, come in questo caso: https://attivissimo.blogspot.it/2018/05/il-delirio-del-giorno-nella-fisica-poi.html

E arriviamo ai “like” e alle faccette (emoticon) – e la discussione si complica.

Parliamo di segni nati spontaneamente nelle comunicazioni scritte sul medium che  sono i forum di internet (McLuhan lo definirebbe “medium freddo”) e che contribuiscono a veicolare delle sfumature emotive con una grande sintesi di segni (una sola faccina per al posto di una intera frase).

Un libro cartaceo, non ha bisogno di rapidità e di tradurre una lunga frase descrittiva in un segno iconico come l’emoticon.
Ha storicamente tutto lo spazio, e il suo lettore tutto il tempo, per decodificare l’intera unità sintattica usata per descrivere lo stato emotivo dello scrivente.
Dostojevski non è un blogger.

D’altronde nelle interazioni su internet non c’è nessuna ragione per rallentare il flusso di informazioni tra tutti i comunicanti scrivendo: “oh, che grazioso pensiero e che pregevole esposizione, ho molto apprezzato immergermi nella lettura del tuo sagace cinguettio elettronico”, piuttosto che riassumere il tutto in due icone (cfr. Peirce): una manina con il pollice alzato e una faccetta sorridente.

Ora, qualsiasi proponimento del genere rivolto verso una comunicazione in internet sarebbe solo una manifestazione perniciosa, esattamente come qualsiasi altra proposta normativa esterna su un linguaggio naturale, per le ragioni esposte sopra: potete fare a meno di imparare l’inglese, fatti vostri, ma almeno domandatevi perché mai dovreste cagare il cazzo a chi lo parla, e se siete sicuri di essere nel giusto in questa battaglia, che va ben oltre l’intolleranza del peggiore grammar-nazismo.