Ripensare all’impossibile

Ho bevuto un birrino con un vecchio amico.

Vecchio nel senso che siamo cresciuti insieme: se lui non avesse già un fratello di sangue ci sarei io. Per me lui è già, in un certo senso, un fratello, ma negli anni ci siamo tirati un bel po’ di pugnali volanti.

Abbiamo parlottato delle rogne e delle speranze, due amici al bar, se non mi stesse un po’ lontano Gino Paoli.

Nel discorso sono venuti fuori vecchi ricordi sul passato della nostra amicizia, tra cui alcuni suoi comportamenti che mi avevano ferito (ah, adolescenza), e che sicuramente hanno formato il tipo di persona che sono diventato.

Ne abbiamo solo accennato, ma mi sono scoperto a ripensarci.
Perché?

Mi è venuto in mente che vorrei saperne di più, di quelle situazioni che all’epoca mi hanno ferito e cambiato.
Sono curioso, perché mi sembra che se sapessi davvero cosa è successo alla controparte poterei inquadrare quello che è successo a me, renderlo relativo, e non più assoluto.
Più semplicemente, dopo tanti anni, potrei capire meglio il passato di questo vecchio amico, e capendolo potrei perdonerei definitivamente i comportamenti che, all’epoca, mi sono sembrati da  stronzo senza appello.

Ma un perdono così, quando praticamente parliamo di fatti già dimenticati e seppelliti nella memoria, si porterebbe dietro delle piccole conseguenze, non ultimo che potrei rivedere meglio che cosa mi è successo, con gli occhi e la testa di un adulto, e non di un ragazzino, e forse potrei perdonare anche me stesso, per essere diventato lo stronzo che sono.

Potrei, in poche parole, pensare a come sarei potuto essere se le cose fossero andate diversamente, e in questo modo riappropriarmi del me stesso alternativo, che non sono stato, e che mi piace pensare potrei ancora essere.