Capire se una persona è onesta con se stessa 2, la vedetta

Vedetta, perché Nosce Sauton ha vigilato e se ne è venuto fuori con una riflessione proprio bella: precisa e ben argomentata, che ha portato il tema che mi aveva appassionato nel post precedente a una conclusione più che soddisfacente per me.

Nell’ordine: schiva il rischio del solipsismo su un argomento tanto ‘sottile’, riflette sulla difficoltà di essere consapevoli dei propri limiti, afferma la necessità delle illusioni per vivere, ma insiste sul fatto che la vera onestà con se stessi consiste nell’accettare queste illusioni e riconoscerle per quello che sono.
Non contento identifica dei segnali comportamentali molto precisi, che potrebbero essere la manifestazione di una onestà intellettuale che ci aggrada.

Ve la riporto, per chi l’avesse persa tra i commenti

CITAZIONE

Capire se una persona è onesta con se stessa…

Subito va messo in chiaro il punto che, se non isolato, rende l’intera discussione irrisolvibile: la visione solipsista della questione. Io stesso spesso soffro nel portare avanti un ragionamento perché pare che l’unica cosa che possiamo esperire propriamente sono le nostre stesse sensazioni, il resto si scioglie nel nostro pensiero e l’interiorità degli altri ci risulta inaccessibile.
Quindi facciamo finta o speriamo (dipende dai punti di vista) che esprimerci su qualcosa che ci è esteriore è lecito.

In secondo luogo, possiamo dire che conveniamo sul dire che l’onesta con se stessi è la capacità di rilevare e accettare le illusioni fino a dove le nostre capacità sensibili e sensoriali ci permettono.

Quindi, per poter dire che una persona è onesta con se stessa dobbiamo accertarci che questa persona non alimenti appositamente le illusioni e provi con “tutte” le proprie forza a scavare nella profondità del gioco interiore.
Anche qui il concetto di “mettercela tutta” subisce l’attacco della domanda: “Come si fa a sapere che la persona si impegni fino in fondo?”… Ecco, la stessa questione della premessa, di per se non lo possiamo sapere e non possiamo averne la certezza, presupponiamo che la buona fede ci sia e passiamo ad osservare se ci siano delle azioni che assomiglino a uno sforzo vero e proprio.

Infatti qui arriviamo ai criteri con cui giudico l’onesta.
Per poter rilevare e accettare delle illusioni dell’esistenza bisogna saper: osservare, dubitare, sia pensare in maniera logica, sia dare libertà al sentire in maniera irrazionale, in fine saper accettare di aver sbagliato.
Alcune di queste capacità possono essere osservate.
Così, intuisco che una persona è sincera con se stessa se:
– non sbandiera delle “verità assolute”
– utilizza spesso “forse” (non in maniera insicura, bensì scettica)
– mette in dubbio le sue stesse dichiarazioni
– mostra aspetti diametralmente opposti della questione che espone e cerca una verità complessa
– sa ridere di se stessa
– non nasconde i propri diffetti
– utilizza pochi sofismi e professa la semplicità di espressione

FINE CITAZIONE (dal commento di Nosce Sauton)

 

Siamo onesti con noi stessi. Ma gli altri?

Vorrei sottoporvi un articolo interessante e la discussione che ne è seguita:

https://noscesauton.wordpress.com/2018/01/24/essere-onesti-con-se-stessi/

Mi ha colpito come una delle questioni più abusate, fino al limite delle banalità da internet, è quella dell’essere onesti con se stessi.

Con Nosce Sauton il discorso si è fatto un po’ più complesso e approfondito, ma è sempre troppo facile considerarsi onesti con se stessi.

E allora mi sono chiesto: e gli altri? Forse gli altri mentono a loro stessi più di quanto non faccia io?
La risposta è ovvia: sì (applausi, grazie).
Ma come faccio a saperlo, io? Come decidiamo quale sia il valore degli altri su una questione tanto privata e impalpabile?
Non è un modo facile per sparare sentenze e pavoneggiarsi (“Io sono sincero con me stesso come nessun altro”)?

Chiaro che chi va dietro a Invisibili Unicorni Rosa qualche fandonia, da qualche parte, se l’è raccontata – e se da questo assunto spacca pure il pazzo al prossimo non è nemmeno consapevole delle favole che si racconta – ma in effetti sono curioso.

Voi, avete mai pensato di giudicare il vostro prossimo, i vostri amici o i vostri familiari sulla base della capacità di sopportazione delle verità, anche le più sgradevoli?

Sono curioso: come capite se la persona che avete davanti è onesta con se stessa?

 

 

Vasi di coccio in mezzo a vasi di.

Tutti così impegnati a infilarsi penne nel culo per sembrare galli in un pollaio mondiale – che poi a ben guardare sono in pochi a razzolare appena appena un po’ più lontano.

Forse per il lungo lavoro di autodistruzione a cui mi sono sottoposto, ma di questa competizione non mi interessa affatto la mia autoaffermazione.
Al massimo potrei traghettare altre anime fragili attraverso la catarsi dell’annullamento, povere loro.
Non posso dire proprio lo stesso dei miei antagonisti in internet.

Eppure a metà di una riflessione sulla materia di cui sono fatti i vasi delle persone che si scornano in internet – mi sono interrotto.
Ho avuto una rivelazione.
Non è tanto importante se sei un vaso di coccio o un vaso di ferro.

L’importante è cosa contieni, e in ogni caso quel buco sul fondo diventa una questione igienica.

Taglio

essere nella età della nigredo – l’opera al nero di André Delvaux (1988 ) ita

« che non esiste accomodamento durevole tra coloro che cercano, pensano, analizzano e si onorano di essere capaci di pensare domani diversamente da oggi, e coloro che credono o affermano di credere, e obbligano con la pena di morte i loro simili a fare altrettanto »
Scrivete questa frase sui muri delle scuole, sulle facciate degli edifici, nel cielo, con delle scie chimiche di vapore acqueo.

l'eta' della innocenza

La “nigredo”, conosciuta anche come “opera al nero”, è la prima e fondamentale fase di ogni processo alchemico.
Il processo della morte dell’Io cioè di tutti i desideri personali è l’Opera al Nero, la putrefazione.
Nel periodo della nigredo, ogni elemento materiale, psichico, spirituale, viene gettato in un luogo di putrefazione, per divenire lentamente parte di un “tutto” nero e indiviso.
Così come il seme, per dare frutto, deve morire e spaccarsi, ogni frammento materiale, per poter contribuire alla Grande Opera, deve prima essere abbandonato alle tenebre del suo sfacelo fisico, affinchè le impurità inizino ad abbandonarlo e l’intima natura degli elementi possa prepararsi per una profonda e successiva purificazione (“albedo”).
L’Arte della Nigredo identifica, quindi, la fase preliminare di introspezione sensoriale (presa di coscienza) dell’esistenza di fattori, elementi e complessi inconsci che ci fanno percepire le immagini come un pallido riflesso della realtà.



L’opera al nero è un romanzo…

View original post 869 altre parole

Infiltrati di Natale

Per usare un eufemismo, non sono proprio un credente.
Diciamo piuttosto che sono una brutta persona, senza troppe illusioni, spietata con se stessa più che con gli altri, perché se conosco i miei limiti, vedere gli altri sbatterci il muso mi suscita solo pietà umana, e quindi sono anche supponente e spocchioso.
Con queste premesse avrete capito già che non passo le sere della settimana con il gruppo del catechismo, non proprio.

Frequento e mi sollazzo con altri agnostici durissimi miei pari – e tanti, devo ammettere, sono pure peggio di me, e lasciano il mio agnosticismo ‘morbido’ nella polvere, dilaniato da morsi di sarcasmo ateo infedele e puzzolente di zolfo.
Come piace a me.

Durante le feste in particolare mi trovo in una situazione drammatica: alcuni amici atei hanno la famiglia molto lontana, oppure non festeggiano per i sacrosanti fatti loro, e io invece, come un agnostico supremamente indifferente mi faccio delle grasse scorpacciate ai pranzi e ai cenoni in famiglia, con il beneplacito delle festività natalizie, mutuando da certe sette buddiste la pratica della mimesi religiosa.

Cioè, non mi sento meno agnostico perché amo stare in famiglia e mangiare nel nome di qualsiasi divinità, o andare a messa e osservare questi bizzarri riti religiosi.
Se li aiuta a stare meglio e non mi scassano le palle sono solo contento per loro, che i loro occhiali rubino all’alba un po’ di notte, a me frega di mangiare in compagnia, ridere, litigare, abbracciare i miei cari.

La cosa ridicola è che poi mi sembra di essere un infedele non all’altezza dei miei amici mangiapreti

Per dire che anche tra i non credenti se non si sta attenti si finisce per fare a gara di non credenza.

Come nota a margine però vorrei riportare l’attenzione sulla pratica buddhista (setta Nichi-Ren) della mimesi che ho citato prima.
Cioè, per questi buddhisti le altre religioni sono esclusivamente un fatto folkloristico (esatto, hanno ragione), per cui non è necessario rinnegare nessuno dei comportamenti esteriori richiesti dalle altre fedi per potersi comunque definire buddhisti.
Lo sapevate?
Il vostro vicino di banco alla messa di Natale avrebbe potuto essere un buddhista, ad esempio, oppure un agnostico laico come me, e voi non potreste nemmeno sospettarlo.
Vostro marito, vostra moglie, i vostri figli, tutti i baciapile di questo mondo, potrebbero essere buddhisti (o agnostici, o me) sotto al vostro naso.
Insospettabili. Mescolati tra gli sciamannati di ogni bandiera e partito, segretamente indossano scolapasta in testa nelle rispettive cucine, prima di servirvi un piatto di spaghetti alle polpette al cenone di natale o un kebab alla fine del ramadan.

Miei cari integralisti, qualunque sia la vostra religione, non dovreste dormire sonni tranquilli.