A vedere “The Lobster”.
“L’Aragosta”.
Un personaggio che palesemente non è fatto per ispirare soggezione. O ammirazione.
Non si vede una sola aragosta in tutto il film, ma il film disamina scrupolosamente e esattamente un meccanismo centrale della nostra società.
Cazzata.
* un meccanismo centrale della società umana.
Meglio.
* il meccanismo centrale della società umana.
Ci siamo.
Oserei dire che ci ho trovato un pezzo di me nel film – e lo so che deve essere una palla per chi lo legge ma non l’ha visto – tendo ad avere una vita mentale piuttosto attiva, così mi immedesimo e trovo coincidenze più con i personaggi e le storie dei film che con altri esseri umani.
Specie ultimamente.
Sì, beh, insomma, ne sto scrivendo qui, del film che ho visto, dico, perchè sono un po’ a corto di orecchie a cui parlare ultimamente. Orecchie che ascoltino e basta – e poi fare a turno, chiaro. Dovrebbero chiamarsi “amicizie”, in gergo tecnico.
L’autunno fa delle cose orribili alla mia autostima – e la mia socializzazione soffre come un cane mutilato in modo menomante e buffo. Tipo senza la mascella.
Il film ha una sensibilità grave (gravissima!) per cui continuamente trasla l’angoscia e il dolore interiore verso la crudeltà e la mutilazione fisica. Come se per dire che qualcuno viene straziato da una notizia, o da una discussione, o dalla solitudine, mostrassero il personaggio straziato fisicamente.
Ecco, questa è una specie di binario su cui spesso ha corso la mia fantasia e la mia sensibilità. Per questo ho trovato molte affinità con la messa in scena di questo film.
Poi parla di amore. E di relazioni sociali. E di costrutti sociali e di vincoli e di processi di Kafka, per intenderci. Obblighi di cui non eravamo neppure a conoscenza, e alla fine non sappiamo nemmeno perchè, ma veniamo condannati.
Quindi, dicevo, per tradurlo nel linguaggio greve del film, è come se questo film fosse un pezzo di me che mi è stato fisicamente asportato, tipo una fetta di fianco (è indispensabile includere nell’asportazione anche delle viscere: è un film allegorico e intimista), e può essere rinchiuso e lanciato in una capsula del tempo.
Come un messaggio dal me stesso del passato, quello che andava sempre al cinema da solo, e soffriva di solitudine come un cane, lasciato per un me stesso di un futuro a caso, uno qualsiasi, uno che si realizzi. Per non dimenticarmi di me stesso, come un monito.
E comunque andare al cinema da solo un po’ mi piace. Anzi, mi piace e basta, non ho nulla in contrario.
Mi piace perchè dopo mi fa venire voglia di scrivere o di parlare con qualcuno.
Credo di aver appena scritto una delle righe più tristi che si potessero scrivere, ma non è nulla, tranquilli.
È solo ottobre e va avanti così solo fino a maggio.