Inizio sempre a correre tra l’undicesima e la quarta, sul marciapiede sotto casa.
Negli anni ho messo insieme un equipaggiamento semi-professionale per facilitare i miei ritmi di maratoneta.
Un buon paio di scarpe, maglietta e pantaloncini in tessuto tecnico, calzini che assorbono il sudore senza inumidirsi – e non ho idea di come abbiano reso possibile questo risultato. Mi pare qualcosa di sacro, ma mi sforzo di trattare i miei calzini con noncuranza, come se i loro miracoli fossero azioni scontate.
inizio a correre verso ovest, verso il mare, con un ritmo sostenuto.
Tutta la prima parte del percorso, il mio quartiere, è un quartiere delizioso: agli angoli delle strade i suonatori ambulanti si prodigano con degli Stanway Grand, e sciami di farafalle spesso si contendono le strade con le gigantesche bolle di sapone dei bambini.
Ho sempre la tentazione di rallentare e mettermi a passeggiare invece che correre, ma non lo faccio mai. Nemmeno stavolta.
Non sono nemmeno uscito dal quartiere che mi viene un prurito alla pianta del piede. Le scarpe sono semi professionali, e questo significa che la suola è fatta in modo da attutire il contatto con il suolo. È un’ottimo vantaggio per correre, ma un disastro se vorresti che qualcosa ti grattasse la pianta del piede quando ti prude.
Comincio a correre sugli spigoli dei marciapiedi, sul selciato sconnesso, ma non funziona. Cerco di concentrarmi sul respiro, sul cielo, sulle scapole (mi viene prurito anche alle scapole), sul traffico in strada, ma niente: distrarmi serve a malapena ad attenuare il prurito, ma poi si ripresenta più forte di prima.
Comincio a cercare strade dissestate per correre sui ciottoli appuntiti.
Ormai non posso fermarmi: ho preso il ritmo e spezzato il fiato – se mi togliessi le scarpe per grattarmi non potrei più riprendere lo slancio, quindi continuo a correre.
I ciottoli non funzionano, quindi attacco una nuova strada in salita, dove mi è sembrato di vedere dei cingolati: voglio provare a correre sui cingoli in movimento perchè forse riusciranno a placare il prurito attraverso le suole delle scarpe.
Sono in un quartiere residenziale, ma non è bello come il mio: è vicino a un quartiere di uffici e i lavori in corso qui sono onnipresenti. Corro accentuando l’attrito tra i piedi e i cingoli in movimento, ma niente.
Entro negli uffici che costeggiano la strada, corro tra le scrivanie. Sono tutte uguali e il panorama di grafici appesi alle pareti è desolante: sono quasi tutti al ribasso.
Corro per un po’ sulle penne lasciate sulle scrivanie. Le oche mi guardano con evidente fastidio quando corro sulle loro penne, ma ormai ho preso il ritmo e il mio corpo va avanti senza nemmeno pensare di rallentare. Non potrei nemmeno se volessi.
All’uscita degli uffici il quartiere degrada in una ampio parco comunale: lo conosco bene perchè spesso ci sono venuto ad allenarmi in passato.
Oggi ci sono famigliole che fanno i pic-nic, per cui si vedono enormi porchette ad arrostire e torte a 24 piani ricoperte di panna. Hanno il diametro di piccole piscine e devo per forza ripromettermi di ritornare dopo l’allenamento a chiederne una fetta. Anche le porchette sanno come farsi ammirare: si massaggiano le coscie con un’espressione molto lasciva – e poi l’inaspettato: quando più vorrei riconsiderare la mia determinazione e fermarmi a banchettare, mi affianca la Regina madre d’Inghilterra con i sui corgi. Per essere una vecchietta in abito formale (rosa pastello) e decolleté abbinate devo dire che ha una resistenza sorprendente.
Mi sorpassa subito prima di uscire dal parco. Il mio inchino è un po’ limitato, ma non ci sono dragoni che potrebbero punirmi per l’irriverenza. E poi sto correndo, non ci si può inchinare come si deve mentre si corre. È una concessione specifica del galateo.
Fuori dal parco inizia il quartiere del porto, e in tanti corrono in questo quartiere. Mi affianco anche a un rinoceronte. Abbiamo una buona intesa sulla corsa, e sulla base di questa affinità mi permetto a ogni falcata di appoggiare il piede sulla punta del corno – e quasi quasi… mi pare che dia sollievo al prurito.
Corriamo su galeoni e navi da crociera e navi portacontainer e barchette di pescatori.
Poi ci separiamo: io preferisco correre nelle viuzze strette del porto, il rinoceronte invece carica a piena forza il mare aperto.
Le case sono dipinte con colori vivaci e mi piace correrci in mezzo. Mi perdo intenzionalmente nel dedalo variopinto e non manco di salutare tutti i vecchietti che giocano a carte seduti fuori dai bar. Sono tanti, ma i miei saluti sono veloci come i miei passi.
MI rispondono felicemente, con una allegra caciara di bestemmie e grida in dialetto.
È quasi il tramonto, e sono soddisfatto della corsa di oggi. Mi fermo in cima alla collina che sovrasta il porto. Guardo con soddisfazione il mare e le onde che riflettono la luce. Il rinoceronte pascola sereno, in un campo di tonni. I vecchi pescatori stanno rialzando i tavolini che ho rovesciato correndo. La Regina madre d’Inghilterra sta ancora correndo a oriente, con una bella falcata sicura. I corgi invece ansimano un po’.
Che magnifica giornata.
Che cazzo di prurito.