Era venuto nella radura con suo figlio, come gli era stato comandato.
Il suo ranocchietto tutto ossa lo guardava un po’ curioso e un po’ annoiato, senza capire, mentre tra le dita sfilacciava distrattamente con uno stelo d’erba.
Tutto intorno scottava il sole caldo d’estate; le cicale frinivano placide dagli alberi al limitare della radura, e la vita della valle in mezzo al deserto si muoveva sospettosamente attorno all’uomo e a suo figlio.
Avrebbe imprecato se fosse stato di qualche aiuto, ma si trattenne. Stava cercando un segno, un messaggio, un avvertimento, ma vedeva solo un falco afferrare in volo una colombella, scendere con lei in picchiata e poi lasciarla andare, libera per la sua strada.
Aspettò ancora.
Suo figlio si stava sul serio annoiando, e si mise a stuzzicare un mucchietto di terra vicino all’altare con uno stecco. Stava sempre così quando non lo aiutava con i lavori e non giocava con gli altri ragazzini del villaggio. Accovacciato da qualche parte, a guardare per terra, sempre mite, oppure con gli occhi rivolti al cielo, a guardare le stelle o le nuvole. Sarebbe stato un grande rabbi, da grande; un saggio: uno capace di ascoltare i segni e condurre il suo popolo nei tempi difficili che li aspettavano.
Al limitare della radura una volpe scattò e si infilò nella boscaglia, ma poi tornò subito indietro, lanciò un’occhiata furtiva nella loro direzione e si chinò a raccogliere il suo piccolo per la collottola, tenendolo delicatamente tra i denti; poi riprese il percorso, tenendo la testa più alta per non fargli toccare terra.
Il cuore cominciò a riempirsi di angoscia, mentre la speranza di ricevere un segno si affievoliva.
Si avvicinò a suo figlio, ancora chino sul mucchietto di terra, finché il ragazzino non fu coperto dalla sua ombra. Il ranocchietto se ne accorse e si voltò a guardare suo padre, gli occhi strizzati per filtrare la luce diffusa del sole, e un sorriso storto dipinto sul volto, con gli incisivi bianchi e grandi contro il volto scuro.
Una piccola raganella era uscita dal mucchietto di terreno secco che il ragazzino aveva smosso con lo stecco e aveva iniziato a gracidare piano in mezzo al frinire delle cicale.
Nessuno aveva mai sentito gracidare una rana in quella valle nel deserto, e suo figlio, per primo, aveva trovato una piccola creatura tutta ossa, come lui, sepolta sottoterra, e l’aveva riportata alla vita.
Che magnifico rabbi sarebbe stato.
Ad Abramo salirono le lacrime agli occhi. Il suo compito gli appariva sempre più come una punizione, inflitta per chissà quale colpa. Forse la colpa non era ancora nemmeno stata commessa. Forse la colpa era proprio quello che pensavo in questo momento: sapeva quello che doveva fare, quello che gli era stato chiesto, eppure non voleva.
Sapeva che se avesse potuto trovare una scusa l’avrebbe fatto, ma come si possono accampare scuse davanti a una richiesta di “…”.
Non poteva nemmeno dare un nome all’oggetto dei propri pensieri, tanto era vasto.
Avrebbe fatto quello che gli era stato chiesto, anche se non voleva, perché non poteva rifiutarsi.
Quando alzò il braccio con il coltello sacrificale, quando sentì il grido, quando vide sgorgare il sangue, la sua vita gli apparve nitida e tutta intera, con un ordine predisposto, con gli affetti che aveva desiderato tanto, con la propria famiglia al centro di tutto, e l’amore per suo figlio Isacco ancora più ruggente nel suo cuore.
In una potentissima rivelazione capì che niente altro importava per lui.
Un segnale chiarissimo, proveniente dalla realtà che formava la sua vita.
Ma era il segno che aspettava? Il Creatore gli stava dicendo di fermarsi, come voleva disperatamente? O era la sua disperazione a voler usurpare la Sua Voce?
Urlando fece quello che doveva, contro ogni natura.
E tutto intorno la natura taceva, in muto rimprovero.
Santi numi!
urgh, spero sia buono, perchè avevi ragione sugli omicidi: sono un po’ pesanti se non sei Ellis…
Questa cosa è fantastica ma mi fa un mal di pancia da urlo
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